Lazarillo de Tormes, Don Chisciotte e il mio frigo vuoto di Santiago de Compostela.


A volte mi capita di pensare ad alcuni momenti vissuti in quel di Santiago.
Mi capita nei momenti piu impensati:
Mi capita quando vado al cesso, pensando che ne Guido ne la bonanima di Emil buttavano giu la porta del bagno a spallate, mi capita quando vedo mio padre fare il caffè, facendo quel piccolo, minuscolo rito che facevo anch’io li, senza neanche accorgermene…
Mi capita quando penso di guardare un film su internet, come ieri notte per “About a Boy”.
Ma soprattutto mi capita quando rifletto sulle riflessioni.
Le riflessioni compostelane riguardavano soprattutto, chissà per quale arcano motivo, il mio rapporto col cibo e la cattiva gestione di tutti i suoi contenitori, dal frigo allo stomaco.
Scorrendo la mia breve storia come ivi descritta, vedo solo descrizioni sul mio vecchio frigo e il suo contenuto, come la concezione in continuo mutamento del penultimo contenitore, lo stomaco.
Il punto centrale sembra essere il cibo.
Sembra un romanzo picaresco scritto male, il cui protagonista è uno scugnizzo che non è uno scugnizzo, è un avventuriero senza avventure e un servo senza padroni.
Il problema è che la privazione della proprietà fondamentale di un individuo non basta a svuotarlo completamente, ma la frustrazione della sua mancanza dovrà essere sublimata in altri modi: così nascono i riempitivi dei mulini a vento, la vita itinerante di Berganza, ossia il cane sfasulato del “dialogo de los perros” di Cervantes e il cibo per me.

La verità è un’altra: Lazarillo de Tormes risolverebbe molti dei suoi problemi facendo la spesa al Liddle, Don Chisciotte non solo smadonnerebbe contro i suoi incantatori su Twitter, ma cercherebbe gli ostelli e i castelli sulle guide Michelin… Mentre io andrei volentieri nella Mancha a fare un po’ di casino.

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